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Massa e potere di Elias Canetti.
L'età dell'oro di Gore Vidal
Il libro considerato da molti il suo capolavoro, "Massa e potere" , Elias Canetti (premio Nobel 1981 per la letteratura) lo ha pubblicato ad Amburgo, dopo lunghissima gestazione, nel 1960. Dopo circa mezzo secolo è una lettura ancora attuale: soprattutto per chi, aspirando a praticare o esercitando di fatto un qualche potere, ne voglia penetrare le pieghe più recondite e il segreto più profondo.
Due delle caratteristiche essenziali del potere sono, secondo Canetti, l'imitazione e la metamorfosi. Della prima, l'imitazione, conta soprattutto l'atteggiamento interno di chi imita. Ad esempio, le scimmie e i pappagalli sono animali considerati imitatori per eccellenza. Ma imitando, essi non mutano affatto se stessi, non sanno cosa sia. ciò che imitano, dato che non lo hanno mai sperimentato interiormente. Quindi, nell'imitazione possono saltare da un oggetto all'altro, senza che la sequenza abbia per loro la minima importanza.
L'imitazione, secondo Canetti, è solo un primissimo passo verso la metamorfosi. Una forma intermedia, che si arresta volutamente a mezza via tra l'imitazione e la metamorfosi, è la simulazione . Ad esempio: il farsi avanti come amico, ma con intenzioni ostili, che è presente in tutte le forme avanzate di potere. Nella simulazione è essenziale che l'interno resti molto bene occultato verso l'esterno. All'esterno sta infatti l'elemento amichevole-inoffensivo; all'interno sta quello ostile e mortale.
E' importante afferrare bene il concetto: la componente mortale si tradisce solo nell'atto definitivo.
Con l'intento di intendere la simulazione nel suo significato più genuino, Canetti richiama un antico racconto indiano, quello del lavandaio che aveva un asino capace di portare carichi straordinari. E' uno dei racconti della meravigliosa raccolta del Panchatantra. (I cinque Libri di favole forse più antiche del mondo, a cui hanno attinto un po' tutti, da Esopo a Fedro, da Babrius a La Fontaine, da Giovanni da Capua agli Andersen).
Per nutrire l'asino il lavandaio lo rivestiva nottetempo con una pelle di tigre e lo mandava a pascolare così travestito nei campi di grano altrui. Nessuno, credendolo un animale predatore, osava avvicinarsi all'asino e scacciarlo, così lui poteva brucare quanto voleva. Una volta però un guardiano si mise addosso un mantello grigio e si nascose in agguato, pronto con l'arco e la freccia incoccata. Quando l'asino lo scorse lo scambiò per un'asina e provando per lui un irresistibile motto d'amore prese a ragliare e corse verso l'uomo. Il guardiano del campo riconobbe l'asino dal raglio e lo uccise.
Secondo Canetti, questo racconto indiano, intitolato appunto L'asino nella pelle di tigre , riassume in poche frasi un piccolo trattato sulla simulazione. Perciò egli ne fa una minuziosa analisi che prende diverse pagine del capitolo dedicato alle due caratteristiche essenziali del potere: l'imitazione e la simulazione..
Vale la pena riportarne qui almeno alcune considerazioni:
"L'amenità della storia sta nel fatto che l'asino, dopo aver mangiato, si sente solo". E non appena scorge da lontano qualcosa che gli ricorda un suo simile, vorrebbe che fosse un'asina. Dunque raglia e si dirige decisamente verso di lei. Ma col suo raglio rivela di essere quello che è, un asino, e viene ucciso dal guardiano del campo.
Insomma anziché l'amore, o il premio desiderato, l'asino trova la morte, o la fine che dir si voglia, che è anche la fine della favola.
Canetti fa notare come il racconto sia costruito come una vera e propria "sequenza di inganni". E commenta:"Simulando di essere una creatura che in realtà non si è, si cerca di ingannare altre creature. Accade però che le simulazioni ottengano risultati completamente diversi da quelli previsti."
Canetti tuttavia sottolinea come solo l'uomo ricorra abitualmente alla simulazione, può mascherare se stesso come fa il guardiano della favola e come fa anche il lavandaio padrone dell'asino. L'animale invece può essere soltanto vittima passiva della simulazione.
Nel racconto la separazione fra uomo e animale è perfetta. Esso sembra indicare il definitivo superamento dei tempi mitici in cui uomo e animale non si potevano distinguere l'uno dall'altro. Ma è proprio attraverso le sue esperienze mitiche che l'uomo ha imparato ad usare come più gli conviene quasi tutti gli animali.
E allo stesso modo l'uomo che aspira al potere e lo conquista in qualche modo cerca di trattare alla stessa stregua gli altri uomini.
E' così che le sue metamorfosi sono diventate vere e proprie simulazioni.
"La simulazione - avverte Canetti - aspetto limitato della metamorfosi, è l'unico che sia rimasto familiare al potente fino ai giorni nostri."
E fin qui l'insegnamento potrebbe anche essere considerato un po' scontato. Ma le osservazioni più l'interessanti sono proprio alla fine del capitolo: quando Canetti afferma che "il potente non può più trasformarsi ulteriormente". Per il fatto che egli è irrimediabilmente consapevole del suo "atteggiamento ostile interiore"
Per mantenere intatto questo suo nucleo interno, la sua immagine autentica, egli deve perciò limitarsi alle metamorfosi esteriori. Ad esempio, può talvolta considerare vantaggioso tener nascosta la paura o il terrore che promana dal suo vero volto, ma a tale scopo dovrà necessariamente servirsi di maschere .
Anche queste maschere egli le assumerà soltanto e sempre in modo temporaneo, poiché esse non modificheranno mai minimamente il suo volto interiore, la sua natura .
Si dirà: quella di Canetti non è certo una lettura o rilettura da consigliare ad agosto.
Ma leggendo alcune anticipazioni delle battaglie politiche (si fa per dire) o di trincea già cominciate fra i nostri "potenti" in vista delle primazìe (o le primarie) da conquistare ad ottobre, mi pare che una lettura approfondita di alcuni capitoli di "Massa e potere" - se non proprio alle masse spaparanzate sulle spiagge - potrebbe tornare utile sia agli uomini cosiddetti di potere, sia agli entomologi che ne studiano le mosse.
Per una più precisa messa a punto del contendere si potrebbe abbinare la lettura di questo libro a quella di un’altro "classico" di Gore Vidal, L'età dell'oro , dove si traccia una inedita e spregiudicata analisi dei giochi di potere del "secolo americano", visto dall'interno dell'impero, e da un osservatorio decisamente privilegiato, quello dei luoghi in cui segretamente i giochi si preparano e si dirigono. Dove, degli Stati uniti americani si dice ad esempio: "La nostra non è mai stata una democrazia. E' sempre stata - come recita la costituzione - una repubblica federale. Una repubblica guidata da un partito unico con due ali. Entrambe ali destre". Visto che il modello da imitare è noto, non è che, al di là di tutte le simulazioni, sia proprio questo, anche qui, o in quello che un tempo si diceva "il bel paese", - con gli inevitabili riflessi nell’isola anticamente detta felice - l'obiettivo delle metamorfosi in corso ?.
Vedi anche: filiazioni/uomini e lupi, il totem del lupo, cavalli e lupi