lunedì 27 agosto 2007

Ben tornato Giordano




Giordano Bruno è tornato.
Ha scelto di rinascere da un poeta di prim'ordine e da un'artista raffinata.
La madre si chiama Fabiola. Il padre si chiama Alberto.
Appena ha rivisto la luce materica ha salutato il mondo con una nota bassa, da coro a tenores.
Benvenuto!

sabato 11 agosto 2007

riletture ferragostane

image by Bruno Pittau, Brokenart

Massa e potere di Elias Canetti.
L'età dell'oro di Gore Vidal


Il libro considerato da molti il suo capolavoro, "Massa e potere" , Elias Canetti (premio Nobel 1981 per la letteratura) lo ha pubblicato ad Amburgo, dopo lunghissima gestazione, nel 1960. Dopo circa mezzo secolo è una lettura ancora attuale: soprattutto per chi, aspirando a praticare o esercitando di fatto un qualche potere, ne voglia penetrare le pieghe più recondite e il segreto più profondo.
Due delle caratteristiche essenziali del potere sono, secondo Canetti, l'imitazione e la metamorfosi. Della prima, l'imitazione, conta soprattutto l'atteggiamento interno di chi imita. Ad esempio, le scimmie e i pappagalli sono animali considerati imitatori per eccellenza. Ma imitando, essi non mutano affatto se stessi, non sanno cosa sia. ciò che imitano, dato che non lo hanno mai sperimentato interiormente. Quindi, nell'imitazione possono saltare da un oggetto all'altro, senza che la sequenza abbia per loro la minima importanza.
L'imitazione, secondo Canetti, è solo un primissimo passo verso la metamorfosi. Una forma intermedia, che si arresta volutamente a mezza via tra l'imitazione e la metamorfosi, è la simulazione . Ad esempio: il farsi avanti come amico, ma con intenzioni ostili, che è presente in tutte le forme avanzate di potere. Nella simulazione è essenziale che l'interno resti molto bene occultato verso l'esterno. All'esterno sta infatti l'elemento amichevole-inoffensivo; all'interno sta quello ostile e mortale.
E' importante afferrare bene il concetto: la componente mortale si tradisce solo nell'atto definitivo.
Con l'intento di intendere la simulazione nel suo significato più genuino, Canetti richiama un antico racconto indiano, quello del lavandaio che aveva un asino capace di portare carichi straordinari. E' uno dei racconti della meravigliosa raccolta del Panchatantra. (I cinque Libri di favole forse più antiche del mondo, a cui hanno attinto un po' tutti, da Esopo a Fedro, da Babrius a La Fontaine, da Giovanni da Capua agli Andersen).
Per nutrire l'asino il lavandaio lo rivestiva nottetempo con una pelle di tigre e lo mandava a pascolare così travestito nei campi di grano altrui. Nessuno, credendolo un animale predatore, osava avvicinarsi all'asino e scacciarlo, così lui poteva brucare quanto voleva. Una volta però un guardiano si mise addosso un mantello grigio e si nascose in agguato, pronto con l'arco e la freccia incoccata. Quando l'asino lo scorse lo scambiò per un'asina e provando per lui un irresistibile motto d'amore prese a ragliare e corse verso l'uomo. Il guardiano del campo riconobbe l'asino dal raglio e lo uccise.
Secondo Canetti, questo racconto indiano, intitolato appunto L'asino nella pelle di tigre , riassume in poche frasi un piccolo trattato sulla simulazione. Perciò egli ne fa una minuziosa analisi che prende diverse pagine del capitolo dedicato alle due caratteristiche essenziali del potere: l'imitazione e la simulazione..
Vale la pena riportarne qui almeno alcune considerazioni:
"L'amenità della storia sta nel fatto che l'asino, dopo aver mangiato, si sente solo". E non appena scorge da lontano qualcosa che gli ricorda un suo simile, vorrebbe che fosse un'asina. Dunque raglia e si dirige decisamente verso di lei. Ma col suo raglio rivela di essere quello che è, un asino, e viene ucciso dal guardiano del campo.
Insomma anziché l'amore, o il premio desiderato, l'asino trova la morte, o la fine che dir si voglia, che è anche la fine della favola.
Canetti fa notare come il racconto sia costruito come una vera e propria "sequenza di inganni". E commenta:"Simulando di essere una creatura che in realtà non si è, si cerca di ingannare altre creature. Accade però che le simulazioni ottengano risultati completamente diversi da quelli previsti."
Canetti tuttavia sottolinea come solo l'uomo ricorra abitualmente alla simulazione, può mascherare se stesso come fa il guardiano della favola e come fa anche il lavandaio padrone dell'asino. L'animale invece può essere soltanto vittima passiva della simulazione.
Nel racconto la separazione fra uomo e animale è perfetta. Esso sembra indicare il definitivo superamento dei tempi mitici in cui uomo e animale non si potevano distinguere l'uno dall'altro. Ma è proprio attraverso le sue esperienze mitiche che l'uomo ha imparato ad usare come più gli conviene quasi tutti gli animali.
E allo stesso modo l'uomo che aspira al potere e lo conquista in qualche modo cerca di trattare alla stessa stregua gli altri uomini.
E' così che le sue metamorfosi sono diventate vere e proprie simulazioni.
"La simulazione - avverte Canetti - aspetto limitato della metamorfosi, è l'unico che sia rimasto familiare al potente fino ai giorni nostri."
E fin qui l'insegnamento potrebbe anche essere considerato un po' scontato. Ma le osservazioni più l'interessanti sono proprio alla fine del capitolo: quando Canetti afferma che "il potente non può più trasformarsi ulteriormente". Per il fatto che egli è irrimediabilmente consapevole del suo "atteggiamento ostile interiore"
Per mantenere intatto questo suo nucleo interno, la sua immagine autentica, egli deve perciò limitarsi alle metamorfosi esteriori. Ad esempio, può talvolta considerare vantaggioso tener nascosta la paura o il terrore che promana dal suo vero volto, ma a tale scopo dovrà necessariamente servirsi di maschere .
Anche queste maschere egli le assumerà soltanto e sempre in modo temporaneo, poiché esse non modificheranno mai minimamente il suo volto interiore, la sua natura .
Si dirà: quella di Canetti non è certo una lettura o rilettura da consigliare ad agosto.
Ma leggendo alcune anticipazioni delle battaglie politiche (si fa per dire) o di trincea già cominciate fra i nostri "potenti" in vista delle primazìe (o le primarie) da conquistare ad ottobre, mi pare che una lettura approfondita di alcuni capitoli di "Massa e potere" - se non proprio alle masse spaparanzate sulle spiagge - potrebbe tornare utile sia agli uomini cosiddetti di potere, sia agli entomologi che ne studiano le mosse.
Per una più precisa messa a punto del contendere si potrebbe abbinare la lettura di questo libro a quella di un’altro "classico" di Gore Vidal, L'età dell'oro , dove si traccia una inedita e spregiudicata analisi dei giochi di potere del "secolo americano", visto dall'interno dell'impero, e da un osservatorio decisamente privilegiato, quello dei luoghi in cui segretamente i giochi si preparano e si dirigono. Dove, degli Stati uniti americani si dice ad esempio: "La nostra non è mai stata una democrazia. E' sempre stata - come recita la costituzione - una repubblica federale. Una repubblica guidata da un partito unico con due ali. Entrambe ali destre". Visto che il modello da imitare è noto, non è che, al di là di tutte le simulazioni, sia proprio questo, anche qui, o in quello che un tempo si diceva "il bel paese", - con gli inevitabili riflessi nell’isola anticamente detta felice - l'obiettivo delle metamorfosi in corso ?.


Vedi anche: filiazioni/uomini e lupi, il totem del lupo, cavalli e lupi

mercoledì 8 agosto 2007

di cavalli e lupi


Fra i tanti doni dei lupi agli uomini della prateria c'era stato anche quello dell'opportunità di castrare i cavalli.
Zhang Jiyuan, uno dei giovani protagonisti del romanzo di Jiang Rong, Il totem del lupo, durante il suo periodo di rieducazione nella pianura di Enrèn, aveva vissuto coi cavalli per due anni e si era sempre chiesto come fossero riusciti i primi uomini a capire che se li avessero castrati avrebbero potuto montarli più agevolmente.
"Lo stallone è uno dei sovrani della prateria, Non ha paura di niente, nè degli animali, né degli uomini. Si preoccupa che i lupi non attacchino la sua famiglia e gode della stessa libertà dei cavalli che vivono allo stesso brado. Per i castrati invece è diverso...Castrare un puledro non è facile e bisogna farlo al momento opportuno..."
Si tratta di un'operazione piuttosto complessa, Prima si deve incidere la pelle dello scroto ed estrarre i testicoli, poi bisogna recidere i sottili condotti ai quali sono collegati. Non si può usare il coltello, che potrebbe causare un'infezione, e non li swi può strappare per non ledere gli organi interni.
"Come si fa allora? I pastori li attorcigliano su se stessi e li annodano per suturare la ferita. Il puledro potrà essere domato solo dopo un anno, non prima. Non è un lavoro facile....Come avranno fatto gli uomini primitivi a scoprirlo?"
Zhang Yuan sostiene di averci riflettuto a lungo e di essere arrivato alla conclusione che gli uomini dovevano aver catturato un puledro ferito dai lupi, lo avevano curato e fatto crescere. Finché era piccolo si erano divertiti a cavalcarlo. Ma una volta diventato adulto, uno stallone non si lascia cavalcare da nessuno. Deve essere andata avanti così per molte generazioni.
"Poi qualcuno ha trovato un puledro di due anni che era stato azzannato dai lupi proprio ai testicoli. E si è reso conto che, a differenza degli altri, quel cavallo, una volta adulto, si lasciava domare e cavalcare...Ecco com'è avvenuta la scoperta. Ma è stato un processo molto lungo e complesso."
Nel corso dell'evoluzione successiva, apprendere come castrare e lobotomizzare gli uomini per poterli cavalcare o dominare meglio deve essere stato più rapido. Così è stato distorto l'antico dono del lupo agli antenati pastori. Ora si tratta di capire, e non è facile, che la lobotomizzazione delle masse ad opera della grande fabbrica dei sogni e delle menzogne, che opera soprattutto attraverso gli schermi dove pascoliamo nei vari mondi virtuali, è peggiore della castrazione dei cavalli e potrebbe costare molti più feriti e morti di quelli costati prima che l'uomo capisse come si doma un cavallo.

Nella storia dell'umanità - sostiene ancora Zhang Jiuyan - quest'ultimo è stato un enorme passo avanti, molto più importante delle quattro grandi scoperte cinesi: quella della carta e dei caratteri mobili, della polvere da sparo e della bussola. Scoperte che hanno segnato anche il cammino, forse più breve, per arrivare al grande passo indietro: quello della barbarie delle macchine e della riduzione degli uomini a tubi digerenti e vanamente desideranti di essere solo appendici delle macchine, a scoppio, a trazione elettrica o ad impulsi elettronici.
Finché l'etere cominciò a sostituire la carta, gli impulsi elettronici i caratteri mobili, l'energia atomica opportunamente manipolata la polvere da sparo. E a quel punto gli uomini persero la bussola.


Sul romanzo di Jiang Rong altre considerazioni in filiazioni e in letture in corso.